Stress da vampiro: recensione
- Cinema Cinema Horror News
- 30 Novembre 2023
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Nazione
USA
Anno
1989
Regia
Robert Bierman
Sceneggiatura
Joseph Minion
Produzione
Barry Shils, Barbara Zitwer
Cast
Nicolas Cage, Maria Conchita Alonso, Jennifer Beals
Peter Loew è un agente letterario che lavora in una prestigiosa casa editrice di Manhattan. La vita frenetica che conduce e l’elevato grado di stress e di insoddisfazione, specialmente in campo sentimentale, lo portano a fare dalle sedute dalla psichiatra, la Dottoressa Glaser. In uno degli incontri le racconta i suoi ultimi giorni, tra cui la conoscenza di Jackie, una ragazza che incontra in un locale notturno. Peter se la porta a letto, ma sul più bello entra un pipistrello e per questo motivo scappano. Alcuni giorni dopo Peter incontra una bellissima ragazza in un pub. Quella stessa notte fanno l’amore e lei si rivela essere una vampira. Peter si lascia mordere sul collo e da quel momento in poi inizia la sua graduale trasformazione in succhia sangue, ma è tutto vero oppure e lo stress ad aver convinto Peter della sua nuova natura?
Parto subito col dire che Nicolas Cage è un attore che non mi piace. L’ho sempre trovato sopravvalutato, anche raccomandato (ricordiamo che è il nipote di Francis Ford Coppola). Ho visto diverse pellicole con protagonista Cage e ogni volta difficilmente riuscivo ad arrivare alla fine, trovando la sua recitazione, ma anche il suo volto poco adatto e fuori luogo. Eppure ci sono due film dove secondo me Nicolas Cage fa la sua figura. Uno è Cuore Selvaggio diretto da David Lynch nel 1990 e l’altro è proprio Stress da Vampiro. In questo film Cage è davvero bravo nell’interpretare questo personaggio fuori dalle righe, un uomo che vive e lavora (si occupa della parte amministrativa di una prestigiosa casa editrice) nella New York reaganiana del boom economico, dell’edonismo, e della ricerca del successo a tutti i costi. Il suo è un personaggio frustrato e insoddisfatto dalla vita che conduce, alla ricerca di un equilibrio personale e anche di una storia d’amore importante. Questi problemi lo complessano fino a farlo deragliare. Peter Loew potrebbe benissimo essere il personaggio psicologicamente instabile di un racconto di Franz Kafka (non a caso a un certo punto egli mangia uno scarafaggio vivo, sarà una citazione?). Egli sente il bisogno di raccontare la sua vita frenetica e inconcludente alla sua psichiatra, ma le cose prendono un piega inaspettata quando lui le racconta dell’incontro con questa donna misteriosa che lo viene a trovare ogni notte per nutrirsi del suo sangue. La dottoressa percepisce che Peter sta precipitando verso dei deliri schizofrenici, tuttavia non sembra essere veramente preoccupata per lui che viene, in un certo senso, lasciato solo ai suoi deliri. E allora ecco che egli si convince di essere un vampiro. Noi osserviamo la sua graduale discesa nella follia, e nel farlo lo vediamo assumere atteggiamenti sempre più ambigui: si compra dei denti finti da vampiro, copre con delle lenzuola tutte le finestre del suo appartamento e rovescia il proprio divano a mò di bara. Ogni notte immagina di ricevere la visita delle bellissima e fatale vampira che lo prosciuga gradualmente del sangue. Peter sviluppa anche l’insana ossessione di trattare male la sua segretaria, obbligata a trovare un impossibile contratto editoriale in poco tempo dentro un archivio enorme e mal organizzato. Il suo fallimento rappresenterebbe il licenziamento. E così Peter vessa la povera ragazza fino ad arrivare anche a violentarla, cosa che porterà a delle conseguenze irreparabili per lui. I toni del film sono da commedia grottesca, con alcune virate verso l’horror vampiresco più puro (in una scena Peter uccide a morsi una ragazza dentro a un Night Club), queste situazioni al limite del surreale, dentro uno scenario metropolitano qual è New York ricordano un altro film molto simile dove le vicende per il protagonista si fanno strane, anzi quasi impossibili. Sto parlando di Fuori Orario di Martin Scorsese. Non lo dico a caso, perché Joseph Minion è lo stesso sceneggiatore di entrambi i film. Ma torniamo a Cage. Secondo me il film funziona proprio per la recitazione sopra le righe e molto fisica dell’attore. Egli è istrionico, allucinato, folle. Ogni espressione del viso dell’attore lascia intendere la discesa nell’abisso di Peter, che a un certo punto gira come uno straccione ubriaco per le strade della city con in mano un grosso palo di legno mentre interloquisce con i muri della città convinto di avere davanti la sua psichiatra. Ma non c’è solo Cage. Jennifer Beals (la protagonista di Flashdance) e una delle più belle e intriganti vampire viste sullo schermo, la carica erotica che trasmette è bilanciata dall’altra figura femminile, la virginale segretaria interpretata da una brava Maria Conchita Alonso. Stress da vampiro è un film che diverte, che ci coinvolge, pieno di cambi di registro e uscite folli, ed è un finto horror perchè in fondo è un film di denuncia sociale, che illustra bene quale grado di alienazione si può raggiungere abbandonandosi alla frenetica vita di una metropoli spersonalizzante come New York, ma che potrebbe benissimo essere Londra, Parigi, Roma o un’altra grande capitale dove la parola d’ordine è produrre, fare e non essere.
CURIOSITA’: si dice che nella scena in cui Peter mangia lo scarafaggio, questi fosse vero e che l’attore lo mangiò veramente.
Sergio Di Girolamo