Intervista a Pietro Gandolfi autore del libro The Road To Her e di tante altre storie da incubo.

 Intervista a Pietro Gandolfi autore del libro The Road To Her e di tante altre storie da incubo.

Intervista a Pietro Gandolfi autore del libro The Road To Her e di tante altre storie da incubo.

Pietro Gandolfi si alimenta di orrori, poi li digerisce fino a espellerli ricoperti da una patina di puro disagio. Ha pubblicato l’antologia personale Dead of Night, i romanzi La ragazza di Greenville, William Killed the Radio Star, Clayton Creed, Nel nome del padre, House of Dead Dolls, Il veleno dell’anima, The Road to Her e La ballata di un amore perduto e alcune novelle fra cui Who’s Dead Girl?, Devil Inside, Ben & Howard, Diner, Il gioco della bottiglia, Chinese Box e Avventura alla stazione di servizio; suoi racconti compaiono in varie antologie.
Con Mauro Corradini fonda la sua etichetta personale, Midian Comics, con la quale pubblica – oltre a romanzi e racconti – i fumetti The Noise, The Fiend, Warbringer e The Idol, spaziando dall’horror allo sword & sorcery e vantando la collaborazione con disegnatori del calibro di Nicola Genzianella, Luca Panciroli, Christian Ferrero, Alberto Locatelli e tanti altri. Realizza il fumetto umoristico Warbringer – La torre dell’ippopotamo con i disegni di Michele Carminati e l’horror rurale Chest, the Scarecrow illustrato da Alberto Locatelli. Con Toni Viceconti pubblica il volume a fumetti L’ultimo respiro.
Ha pubblicato la serie Dead Nation e i racconti Revolution of the Dead e The Old Man Standing per la collana The Tube Exposed.
Con La stanza chiusa firma il primo numero di Parossismo – La Serie, ideata da Ivo Gazzarrini.
Insegna sceneggiatura di fumetto presso l’istituto Mohole di Milano.
Per lui l’orrore non ha frontiere, è sufficiente che si dimostri abbastanza viscerale e diretto da tenere alto l’interesse del suo pubblico. Senza filtri, senza censure. Perché l’orrore è tutto attorno a noi, basta avere il coraggio di non voltare la testa dall’altra parte.

TF: Qual’è l’idea di base che ti ha spinto a scrivere questa storia?

PG: Innanzitutto grazie per l’opportunità che mi dai di parlare del mio lavoro e un saluto a chiunque leggerà i miei deliri. L’idea prende vita proprio dal concetto centrale del romanzo, ossia: cosa succederebbe se alla radio intercettassimo una trasmissione in grado di sconvolgerci incredibilmente? Ma forse lo spunto nasce ancora prima, dalla mia infanzia, quando con le mie sorelle e i cugini giocavamo a quelli che definivamo i “giochi noi”, cioè creavamo delle storie all’interno delle quali noi eravamo i protagonisti e ognuno recitava il proprio ruolo. Ricordo che in una di queste vicende abbiamo iniziato ad armeggiare con un vecchio mobiletto di quelli con la radio integrata e forse ci siamo ritrovati sulle onde AM. Ne usciva del gran rumore bianco e chissà dove ci ha portato la storia, in quell’occasione. Insomma, già da piccolo inventavo storie: anche quando ero da solo e giocavo con Big Jim… immancabilmente era il protagonista di avventure un po’ troppo simili al film che avevo visionato la sera precedente! Però sono certo di avere ideato anche racconti più originali. Dipendeva poi dai giocattoli: i Masters of the Universe, i Ghostbuster e via dicendo erano forse più vincolanti per quel che riguardava le storie che era possibile creare!

TF: In questo libro è evidente la tua passione per la musica rock, in particolare per l’heavy metal, che importanza ha nella tua vita e nella tua professione di scrittore?

PG: Spesso mi piace definire la mia scrittura come il risultato di un mix di letteratura, fumetto, cinema e musica, tutto in egual misura. Insomma, non sono il tipico topo da biblioteca che si è limitato a leggere libri su libri fino a decidere di provare a scrivere. La musica spesso mi aiuta a fornire alle storie un’atmosfera di base molto forte, senza contare che è un argomento che conosco bene e posso utilizzare anche senza procurarmi una gran documentazione: è già tutto nella mia testa. Poi ho cantato in alcune band, attività che ho portato avanti fino a poco tempo fa, quindi cercavo di non limitarmi a essere soltanto un appassionato, ma mi piaceva l’idea di dare il mio contributo. Ora lo faccio solo attraverso la scrittura, sempre senza smettere di procurarmi cd e partecipare ai concerti… almeno per quel che riesco, data la mia fitta presenza alle fiere di settore per promuovere il mio lavoro.

TF: Il libro parla anche di amore e amicizia che influenzano le azioni dei protagonisti, quale posto occupano secondo te nella società odierna?

PG: Stanno diventando merce rara! Esagero, ma forse non troppo. Di certo i social e una società sempre più improntata sull’immagine e sull’“apparentemente corretto” stanno cambiando le relazioni: troppo tempo investito a tenersi in contatto tramite i social. Magari una volta ci si incontrava meno, ma in maniera più diretta. Poi di certo la gente non ha smesso di provare sentimenti, ci mancherebbe, solo stanno diventando sempre più difficoltosi da gestire, senza considerare che ora è come se le persone possedessero una sorta di “catalogo” a cui attingere, quindi se le cose vanno male con il partner o l’amico non si impiega molto a mandare tutto all’aria per poi rivolgersi ai social e trovare qualcun altro con cui investire i propri sforzi emotivi. In generale penso sia possibile trovare poche persone di cui fidarsi e bisogna custodirle gelosamente.

TF: Nella storia vi sono dei momenti di puro horror con l’apparizione di creature sovrannaturali e momenti splatter: è questo il genere di narrativa che preferisci o ti piace puntare più sull’atmosfera?

PG: Provo a fare entrambe le cose. Cerco di offrire delle immagini e degli spunti più d’effetto per offrire al lettore dei momenti sconvolgenti/coinvolgenti, ma per arrivare a ciò bisogna prima costruire una base solida fatta d’atmosfera ma soprattutto di personaggi. Se non si raccontano personaggi tridimensionali ai quali il lettore si può affezionare, sarà difficile che importi a qualcuno del destino che poi subiscono. Purtroppo è un errore nel quale gli autori incappano spesso: investono pagine e pagine a creare una certa atmosfera attraverso troppe descrizioni e trascurano i personaggi dei quali, alla fine, al lettore importerà poco. E un altro errore di base che davvero non comprendo è questa ostinazione degli addetti ai lavori (perché ai lettori non interessa, di solito) nel porre una barriera fra i generi. Stando alla critica può esistere l’horror o lo splatter. Cioè, stando a queste categorie non dovrebbe esistere niente fra Lovecraft e lo splatterpunk. Spesso c’è molta confusione. In primo luogo lo splatterpunk è un genere nato come un movimento ben preciso, ma possiamo anche ammettere che esista ancora: il suo obiettivo è quello di sconvolgere, offrendo tematiche forti e che non lascino indifferenti. Ma non è detto che per farlo si debba versare del sangue o altro, esistono diversi livelli, anche solo psicologici. Lo splatter, invece, è semplicemente un mezzo a disposizione del narratore – o del regista, nel cinema – e significa mostrare la violenza e l’orrore senza filtri: può essere fatto con sensibilità artistica, con ironia, con stile, oppure in maniera grezza e trash. Ma può essere limitato a una scena o due. O anche di più, ma chi ha detto che lo splatter debba escludere o intralciare una narrazione costruita sull’atmosfera o la psicologia dei personaggi? Sono limiti che certa gente si pone da sola e davvero non ne capisco il motivo. Io cerco di utilizzare tutto ciò che può servire alla mia storia e magari in certi frangenti mi lascio andare a momenti gore o splatter. Poi, personalmente, non mi dilungo nella descrizione particolareggiata di un corpo che viene massacrato, ma solo perché lo trovo un po’ noioso da scrivere e da leggere. Ecco, l’unico caso in cui lo splatter mi ha dato “fastidio” è stato durante la lettura di un romanzo in cui ogni due pagine l’autore si perdeva per interi periodi a spiegare nei dettagli i danni che procuravano i proiettili attraverso la carne delle vittime. Ma è un problema stilistico, se lo avesse fatto con più creatività o poesia, magari sarebbe risultato più scorrevole.

TF: Il libro richiama alla mente narrativa “on the road” e road movies: vi sono libri o film che ti hanno ispirato?

PG:  Se ci penso nello specifico, mi viene in mente solo qualche film, Jeepers Creepers, The Hitcher e Vampires… ma in realtà ho visto e letto talmente tante storie on the road che posso dire siano parte del mio DNA. I diner, le stazioni di servizio, i motel, le interstatali che attraversano i campi di mais. Adoro queste atmosfere e le sfrutto quando racconto qualcosa ambientato nella mia geografia fittizia e straniera. Invece, quando ambiento una storia in Italia, preferisco sfruttare la provincia con in suoi paesini e i suoi piccoli segreti. Ma a dire il vero ho costruito tutta una mitologia che utilizzo anche nelle mie Greenville, Paradise City, Little Wood e Serenity: a seconda della storia che voglio raccontare, conosco già la cittadina giusta.

TF: Torniamo al passato: da cosa nasce la tua passione per la scrittura?

PG: A parte la faccenda di quando ero bambino e giocavo, nasce ovviamente dall’amore per la lettura. I fumetti, americani e italiani, e i romanzi e racconti di genere. Al di là dell’heroic fantasy e lo sword&sorcery, l’unico genere capace di coinvolgermi così tanto è sempre stato l’horror. Anche attraverso i fumetti, il cinema e la musica. Ho saltato l’abituale passaggio rappresentato dai libri dell’infanzia come Piccoli Brividi e sono approdato direttamente ai classici. E li ho amati, ma come nel cinema apprezzo meno il gotico e preferisco il new horror, anche nella letteratura è stato lo stesso. Se non fosse stato per le antologie Splatterpunk e Il Libro dei Morti Viventi, forse non avrei mai cominciato a scrivere. L’ho raccontato spesso: ho iniziato a scrivere in maniera continuativa mentre mi trovavo costretto a letto per un motivo di salute. Aveva terminato tutto ciò che avevo da leggere in casa e allora mi sono messo a scrivere. A mano su un quaderno. E bene o male, da allora non mi sono più fermato.

TF: Quali sono gli autori che ti piacciono di più?

PG: Sopra a tutti, sempre Richard Laymon. È l’unico che mi porta a leggere i suoi romanzi in tempi brevissimi, per un’esigenza quasi fisica. Poi direi Clive Barker, Jack Ketchum, Joe Hill e tanti altri di cui magari in Italia è arrivata solo poco della loro produzione. Ma sono tanti e spesso ho amato un singolo romanzo alla follia, al di là del resto della loro bibliografia. Poi non mi nutro solo di horror, adoro quelle storie ambientate nella provincia americana e che ne mostrano l’aspetto più disperato e drammatico… autori come John Woods e Brian Panowich. È un genere/non genere che adoro anche nel cinema. Nel mondo del fumetto horror penso che i migliori rimangano Bruce Jones, Cullen Bunn e Tim Seeley. E, anche se non sono horror o non sempre, autori completi come Terry Moore, Jeff Smith e David Lapham. Senza dimenticare, sia per la narrativa che il fumetto, Tiziano Sclavi. In generale, basta essere curiosi e non accontentarsi dei soliti nomi.

TF: Ho letto che nel tuo curriculum artistico sono presenti anche sceneggiature per fumetti, puoi parlarcene?
PG: Nella mia produzione rappresenta una buona metà di quello che faccio. Ho fatto anche fumetti su commissione, ma principalmente sono coinvolto nell’autoproduzione. Sotto l’ombrello della mia etichetta Midian Comics, pubblico racconti, romanzi e anche fumetti: la serie The Noise o Warbringer, Chest the Scarecrow, L’Ultimo Respiro e tanti altri. In maniera indipendente posso fare ciò che le case editrici in Italia non fanno, cioè proporre fumetti che non siano legati a personaggi vecchi di almeno cinquant’anni o storie interessate soltanto all’aspetto sociale o inclusivo. Propongo horror, thriller, sword&sorcery, fumetti dall’animo rock che hanno un pubblico ma che nessuno fra i grandi editori si azzarda a proporre. Ti assicuro che il mondo dell’editoria è pieno di assurdità e fatti inspiegabili. Preferisco fare da solo, con le mie poche forze, ma proporre delle storie vere, che abbiano qualcosa da raccontare.

TF: So che autoproduci le tue opere, hai creato un’etichetta ad hoc che si chiama Midian un chiaro riferimento a Clive Barker, puoi parlarcene?

PG: Aggiungo che ho scelto il nome Midian per un motivo preciso: voglio che la mia etichetta e ciò che vi orbita attorno possa essere considerato un rifugio per tutti quelli che si sentono un po’ degli outsider nel mondo di oggi. Là fuori sta andando tutto fuori controllo, ma dalle parti di Midian voglio che tutto rimanga a dimensione d’uomo, corretto e integro. Oltre che squisitamente macabro!

TF: Che ne pensi del panorama editoriale italiano e in particolare alla narrativa di genere fanta horror, ci sono speranze per aspiranti scrittori?

PG: Ci sono ottime firme e un amore per il genere che vedo trasparire chiaramente. Il problema sono le strutture. Troppe case editrici campano sui loro autori e non sui lettori: propongono contratti imbarazzanti con percentuali bassissime, sconti ridicoli se si intende comprare delle copie da portare in giro alle presentazioni e spesso un supporto e una pubblicità pari allo zero. Oltre a una distribuzione inesistente. Per tanto così, ritengo sia giusto che gli autori provino a fare da sé. Certo, prima è meglio che si facciano le ossa, perché non possono pensare di scrivere un romanzo e lanciarsi nel vuoto: bisogna scrivere centinaia e centinaia di pagine prima di produrre qualcosa di buono. Un altro problema è rappresentato poi dagli spazi concessi a chi sceglie di autoprodursi, laddove esistono fiere di settore che concedono spazi a prezzi altissimi: a chi le organizza spesso interessa solo il risultato economico, e ci sta, ma è folle pretendere da un autoprodotto lo stesso che si chiede a una grossa casa editrice. Anche nel mondo del fumetto: spesso i disegnatori vengono invitati come ospiti, mentre chi scrive deve pagarsi lo spazio. Questo per una specie di differenza fra le artist alley e la zona autoproduzioni: stiamo facendo tutti la stessa cosa, solo che uno disegna e l’altro scrive, perché porre delle differenze? Io propongo il mio romanzo/fumetto con la mia storia, i miei personaggi; spesso un disegnatore realizza commissioni di personaggi non suoi e guadagna su quello, in fiera.

TF: Dove si possono acquistare i tuoi libri?

PG: I lettori possono trovarmi su Facebook e Instagram e contattarmi direttamente per messaggio. Su FB ho diverse pagine: Midian Comics, Pietro Gandolfi, The Noise, oltre al mio profilo personale, e le gestisco tutte io. Su Instagram esiste Midian Comics e me ne occupo con un collaboratore.

TF: Progetti futuri?

PG: Ho appena realizzato un libricino con due racconti, Nebbia a Triora e Live at the Graveyard, in occasione di Grazzano Viscomics e sto bazzicando gli ultimi eventi prima di Lucca Comics, dove presenterò il finale della prima stagione del fumetto The Noise e altri volumi legati alla saga. Ho appena realizzato un racconto, La stanza chiusa, per un progetto editoriale curato da Ivo Gazzarrini, Parossismo, e sta per uscire Sangue, un’antologia realizzata con racconti miei, di Andrea Cavaletto, Christian Sartirana e Sebastiano Tuccitto. Ho anche scritto un’avventura per un gioco di ruolo, Yokai, che uscirà a breve. Portati a termine questi progetti e la relativa promozione, penserò sia ai fumetti nuovi che a un romanzo: ho parecchio materiale nel cassetto, devo solo scegliere il momento giusto per proporlo ai miei lettori.

Grazie

Grazie a te e… Horror Rules!