Il gatto a nove code: Recensione

 Il gatto a nove code: Recensione

Nazione
Italia

Anno
1971

Regia
Dario Argento
Sceneggiatura
Dario Argento, Dardano Sacchetti
Produzione
Salvatore Argento
Cast
James Franciscus, Karl Malden, Catherine Spaak, Pier Paolo Capponi

GIUDIZIO
4/5

Una notte un uomo cieco di nome Franco Arnò, appassionato di enigmistica, sta passeggiando con la nipotina. Casualmente sentono due uomini che discutono dentro un’auto parcheggiata nei loro pressi. Essi colgono alcuni particolari della discussione, soprattutto la parola “ricatto”. La sera stessa avviene un furto all’interno dell’Istituto Terzi dove si effettuano studi di genetica. Il giorno dopo uno dei dottori della clinica viene ucciso, spinto sotto a un treno da un uomo misterioso. Il medico ucciso è lo stesso che si trovava dentro l’auto e che la nipotina di Arnò aveva visto in faccia. L’enigmista contatta il giornalista Carlo Giordani per rivelargli i suoi sospetti. Insieme iniziano  delle indagini private che vedono come fulcro l’istituto Terzi mentre il killer, nel frattempo, continua a mietere vittime.

Riassumendo, le tracce sono queste: i cinque ricercatori più Anna fanno sei, più Bianca Merusi fanno sette, le foto sparite… otto, e il tentato furto all’istituto… nove! Nove vie da seguire… un gatto a nove code.

Questa è la frase che a metà del film l’enigmista cieco Franco Arnò dice al suo compagno di indagini Carlo Giordani. Da qui possiamo intuire come l’enigma che i due devono sciogliere sia piuttosto intricato. E in effetti il secondo film di argento (che fa parte della cosiddetta Trilogia degli animali) si distingue, secondo il mio parere, per un trama molto interessante, dove le motivazioni del killer qui si sposano con tematiche mediche e spionaggio industriale; insomma, per una volta, non abbiamo turbe di natura sessuale. Dario Argento, grazie al  valido contributo dello sceneggiatore Dardano Sacchetti, scrive così una storia interessante, nonostante il regista abbia dichiarato diverse volte che questo suo film è il più debole tra quelli girati negli anni settanta. E’ probabile che sia così, del resto L’uccello dalle piume di cristallo ha dalla sua le novità portate dal regista, una trama coinvolgente e delle scene più violente rispetto a questo film, anche Quattro mosche di velluto grigio ha dalla sua elementi più interessanti, non ultimo una visionarietà più spinta e delle riprese più virtuose e su Profondo Rosso cosa si può dire, lì siamo nella perfezione…eppure Il gatto a nove code per me è un filmone. Il regista romano che, per l’ennesima volta gira nell’amata Torino, in questo film perfeziona lo stile registico che lo ha reso famoso, inserendo tutti i topoi del suo cinema: la soggettiva dell’assassino, che qui, prima di esserne svelata l’identità, è inizialmente identificato dal dettaglio della pupilla a rimarcare i connubi visione-cinema  e vojeurismo-piacere omicida, i guanti di pelle, qui indossati come al solito dal regista stesso, i compiaciuti dettagli sugli omicidi (anche se qui sono meno cruenti che in altre pellicole), i primi piani insistiti sui volti delle vittime, la telefonata anonima. Il film ha poi un ritmo incalzante e dei dialoghi fantastici, spesso anche ironici anche grazie a personaggi strambi come lo scassinatore Gigi detto “Scalogna” e anche una dose di erotismo data dalla presenza di una meravigliosa  Catherine Spaak. Anche gli altri attori sono bravissimi, uno su tutti il celebre attore americano Karl Malden qui nella parte del cieco e determinato enigmista. Le musiche sono affidate a Morricone che fa come al solito un lavoro egregio, anche se non rimane in mente un vero e proprio motivo musicale come sarà in futuro nelle pellicole di Argento.

Il film è un thriller più vicino forse al giallo, magari un pò meno violento e visionario rispetto ad altre pellicole del regista romano ma certo non mancano scene che strizzano l’occhio all’horror: una su tutte quella del giornalista che in una sortita al cimitero per scovare una particolare importante, rimane chiuso dentro la cappella di famiglia della vittima dopo averne riesumato il cadavere, chiaro omaggio a Edgar Allan Poe. La soluzione del caso non è semplice e sono molti i personaggi identificabili col killer, anche dei fuori pista  a inganno come Argento si diverte spesso a inserire nei suoi film attraverso delle sequenze ambigue. Forse la cosa che meno mi piace è il finale troppo frettoloso anche se la morte del killer è molto originale e girata benissimo richiamando, per certi versi, quella che farà un altro killer in una successiva pellicola del regista. 

Sergio Di Girolamo