L’incubo di Hill House: Recensione

 L’incubo di Hill House: Recensione

Nazione: Usa

Anno: 1959

Autore: Shirley Jackson

Casa editrice: Adelphi

Traduttore: M. Pareschi

GIUDIZIO
5/5

A Hill House si incrociano le vite e le storie di personaggi molto diversi fra loro per esperienze e sensibilità, chiamati a confrontarsi con i terribili segreti custoditi a Villa Crane.
L’occasione dell’incontro è un invito da parte del prof. John Montague, antropologo studioso del paranormale, il quale affitta Hill House e chiede ad alcune persone, in passato protagoniste di episodi di poltergeist, di trascorrervi l’estate, per analizzare l’impatto prodotto su di loro dalla casa, che si dice in giro essere stregata.
All’appuntamento si presentano tre collaboratori: Eleanor Vance, una ragazza fragile e molto ingenua, per la quale l’invito a Hill House rappresenta l’occasione per staccarsi da legami familiari asfittici e intraprendere finalmente un cammino personale; Theodora, artista frivola e spregiudicata e Luke Sanderson, giovane fascinoso ma indolente, ultimo erede della famiglia proprietaria di Hill House.
La casa non tarderà a mostrare ai suoi ospiti l’orrore che vi dimora, ma, se il soggiorno non provocherà sconvolgimenti particolari negli altri ospiti, per Eleanor sarà un’ esperienza traumatica che cambierà per sempre la sua esistenza.

Composto nel 1959 e ormai riconosciuto come classico dell’horror, The Haunting of Hill House (in Italia La casa degli invasati)della scrittrice americana Shirley Jackson è uno dei più riusciti capolavori dell’horror psicologico. Ha influenzato scrittori del calibro di R. Bradbury e S. King, che gli dedica ampio spazio nel suo saggio Dance Macabre, contribuendo a diffondere nel mondo quella notorietà che ha dato al genio della  Jackson il giusto tributo .
Vanta due trasposizioni cinematografiche, entrambe dal titolo Haunting; la prima del 1963 per la regia di Robert Wise, in bianco e nero, nettamente più di classe, l’altra del 1999 diretta da Jan de Bont, dove l’eccesso di effetti speciali cancella la magia dell’orrore sommesso e mai chiaramente manifesto, come concepito dalla Jackson.
Tipico esempio di quello che Edgar Allan Poe ha definito racconto sintetico, L’incubo di Hill House non è la classica storia di una casa infestata. L’orrore che anima il capolavoro della Jackson non risiede soltanto in un luogo fisico, nelle stanze, negli oggetti, fra le mura, ma, primariamente, nel cuore di Eleanor Vance e nel rapporto che la lega alla casa.
Tuttavia, se il “male” risulta impalpabile, per un altro verso, Hill House potrebbe essere la materializzazione dell’interiorità di Eleanor, così insana e irregolare quanto le geometrie  e le proporzioni della casa.
Mentre si addentra nei misteri spaventosi di Hill House, parallelamente Eleanor si fa strada dentro di sé; i tentativi di decifrare le scritte sui muri e le voci che sussurrano il suo nome, di esplorare cosa si nasconde in cima alla scala a chiocciola, sono altrettante tappe di quella scoperta individuale che richiede a Eleanor di penetrare la propria problematicità per  dare un volto  al nemico invisibile che la rende così inquieta ed estranea a se stessa e al mondo.
Eleanor e Hill House, inscindibilmente legate dagli orrori che si annidano nel passato di entrambe, rispettivamente i fantasmi generati da un rapporto insano con la madre e i terribili misfatti compiuti nella casa dal Sign. Crane.
Dunque Hill House vuole Eleanor e Eleanor non può che desiderare di restarvi, fino a trovare nella morte l’unico senso possibile della sua esistenza.
Con una maestria e una finezza stilistica fuori del comune, la Jackson ci dipana un mistero che, anziché svelarsi progressivamente, si attorciglia su se stesso, insinua dubbi dove si erano scorte certezze e vani sono i tentativi di definire l’orrore che ci inquieta, perché esso rimane costantemente sospeso tra realtà e follia, fra le mura di Hill House e la mente di Eleanor.
Sul prof. Montague, come su Theodora e Luke, in fondo sempre ancorati alla razionalità, giganteggia l’instabilità, forse la pazzia, di Eleanor, della quale seguiamo con intenso coinvolgimento ed empatia le paure e i pensieri più intimi e sconnessi.

© Rosanna Ragi

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