Intervista allo scrittore Giorgio Borroni autore del romanzo: Provincia Bastarda

 Intervista allo scrittore Giorgio Borroni autore del romanzo: Provincia Bastarda

TF: Ciao Giorgio, innanzitutto complimenti per il romanzo, mi è piaciuto molto

GB: Grazie infinite a te per aver dato una chance a questo gotico maremmano e per aver apprezzato!

TF: Cosa ti ha spinto a scrivere questa storia?

GB: La storia mi è venuta in mente durante un viaggio a Lucca comics, mentre ero imbottigliato nel traffico. Era uscito un bando di concorso per romanzi horror splatter e presi a immaginarmi situazioni al limite alzando sempre la posta sulle cose disgustose, così, per ammazzare il tempo. Poi mi dissi che una storia nostrana, senza fare il verso agli americani, con i personaggi strani della provincia, forse sarebbe stata una cosa innovativa. Poi decisi di non partecipare al concorso, ma la storia mi rimase in mente e l’estate successiva presi a scriverne la scaletta. Per il resto cosa mi ha ispirato? Tre cose mi mettono paura all’inverosimile: la provincia, il fanatismo religioso e le famiglie disfunzionali… ecco qui Provincia Bastarda!

TF: E’ stato difficile realizzare questo libro e quanto tempo hai impiegato a finirlo? 

GB: Direi che è stato difficilissimo. Ufficialmente iniziai la stesura nel 2017, avendo poi diverse battute d’arresto per problemi lavorativi e classiche vocine infestanti sul tipo di  “ma chi te lo fa fare?” che sbucavano all’improvviso.  Taccio episodi vari che ne hanno ritardato la fine, tipo quello del  pc rotto a metà stesura, del cloud che si mangiò tutti i file per errore, del mio carattere difficile e altre amenità.   Tre anni dopo, durante la pandemia, decisi che essendo al 60% del lavoro o lo cestinavo o quella era l’occasione per completarlo. Ricordo che nonostante io non lasci niente al caso (la struttura narrativa la preparo sempre prima e la seguo meticolosamente), capii che c’erano cose che andavano cambiate e avvenimenti che andavano spostati; lo capii ovviamente scervellandomi facendo numerosi giri della mia casa entro i 300 metri stabiliti dal Governo per la passeggiatina quotidiana: ho unito l’utile al dilettevole, insomma.

TF: Già leggendo le prime pagine del romanzo è evidente il connubio con la musica rock, in particolare con l’heavy metal: mi sembra chiaro sia una tua passione.

GB: In realtà il metal era una ossessione di quando avevo vent’anni, adesso i miei ascolti sono molto vari e spaziano anche nell’elettronica. Diciamo che essendo un po’ maniacale all’epoca e sputtanando tutti i miei soldi in CD heavy, beh, quest’opera è una sorta di omaggio a ciò che ero e soprattutto un’occasione di utilizzare il bagaglio culturale che mi ero fatto a colpi di riviste e fanzine nell’era in cui internet e i download compulsivi  non c’erano – oggi andare anche per fiere del disco personalmente lo trovo meno emozionante di allora: le rarità sono a portata di click e anche documentarsi su gruppi e scene musicali è molto più semplice. Il romanzo si svolge tra il 1984 e il 2003: l’anno dello splendore del metal e quello di “crisi”, quando i musicisti iniziavano a tagliarsi i capelli e i defender erano contro quelli che contaminavano con l’elettronica.

TF: Più volte all’inizio di ogni capitolo traduci e spieghi il significato di alcune parole del dialetto toscano, puoi dirci qualcosa in proposito?

GB: Volevo esprimere al massimo la Maremma, in più volevo creare un sottotesto che “esaltasse” il mondo dei bifolchi di certe zone: Lansdale ha costruito intere epopee sui bifolchi texani, volevo dimostrare che anche in Italia, senza scimmiottare i redneck, possiamo dire la nostra. All’inizio ogni capitolo doveva avere un termine maremmano a corredo che fosse anche collegabile a ciò che succedeva. Come ti ho detto, avendo cambiato alcune cose a livello strutturale, non potevo farlo quando la storia si svolgeva in Germania, quindi ho preferito lasciare la struttura con le citazioni, ma inserendo anche alcuni versi di canzoni che potevano dare un “mood” al capitolo: il risultato è di sicuro più omogeneo, perché è anche un romanzo sul metal e proseguendo esclusivamente sulla strada del glossario maremmano avrei corso il rischio di perdere l’atmosfera musicale.

TF: Mi sembra chiaro il riferimento al cinema horror, in particolare con cult come Non aprite quella porta o Le colline hanno gli occhi, ma anche col cinema di Rob zombie, cosa ci puoi dire al riguardo?

GB: Quando ero piccolo e vedevo i cartoni animati giapponesi, non essendoci ancora il boom dei gashapon e delle action figures, io disegnavo eroi simili a quelli che vedevo in Tv e li ritagliavo per farli combattere. Avevo la mia personalissima versione di Cyborg 009, di Kenshiro, di Tiger Mask e quindi mi è venuto naturale scrivere allo stesso modo il mio sempre personalissimo “Non aprite quella porta”. Il personaggio di Testa di Chiodi è in realtà un Leatherface nostrano, il fatto che indossi un elmetto nazista mi è stato ispirato da mio padre, che mi diceva che una sua zia che viveva in campagna usava uno stahlhelm residuato della Seconda Guerra Mondiale come mangiatoia per le galline. Ecco quindi che la cultura slasher, quella metal le ho ben bene centrifugate per creare qualcosa d’altro, mescolandolo anche con suggestioni personali. Volevo scrivere uno slasher, volutamente esagerato e disgustoso, è ovvio che alcune cose che si ripetono nei film di questo “tornino a gola come la ribollita”, per usare un’espressione maremmana: poi alcune citazioni sono arrivate di conseguenza, ma posso assicurare che la stronzaggine di alcuni personaggi è tipicamente ‘nostra’.

TF: Quanto di verosimile c’è nella possibilità di entrare nei boschi della Maremma toscana e non uscirne più? Sono luoghi così misteriosi e pericolosi?

GB: Altroché! Quando avevo quindici anni un tizio in un paesino della mia zona si mise in testa di fare “Rambo” e si nascose nel bosco: lui lo conosceva a menadito e stanarlo, quando aveva cominciato a spaventare i cacciatori, non fu semplice ; mio nonno che in tempo di guerra si era dato alla “macchia” e i fascisti non si azzardavano ad andarlo a cercare o si sarebbero beccati un agguato che manco i ninja: non so adesso con i GPS e tutto il resto, ma un tempo nei boschi della mia zona ne succedevano di cose strane a chi non sapeva orientarsi. Ah,  poi c’è chi ha visto il diavolo bollendo delle erbe e aspirandone il fumo, chi gli alieni,  ci sono veggenti e maghi di campagna, persone che nella boscaglia hanno visto un serpente con la testa di bambino. Sai come è, se vieni a fare funghi dalle mie parti… stai attento!

TF: La storia, in parte, è anche un racconto di formazione che affronta il tema dell’amicizia: c’è qualcosa di autobiografico?

GB: Beh, a parte l’amico sfigato metallaro che avevo al liceo che ha ispirato il rapporto tra Nick e Rick, no. Sono un asociale, ho seri problemi a socializzare e in genere se non devo svolgere un lavoro e mi metti in compagnia di altre persone sono un disastro. Diciamo che ho voluto ribaltare la poesia di “Stand by me” di King con una bella dose di cinismo: la formazione c’è, ma l’amicizia è un’arma a doppio taglio alla fine… e purtroppo in questo senso  il romanzo  è autobiografico.

TF: Progetti futuri?

GB: Gli haters possono stare tranquilli: nessuno. Fortunatamente non sono sotto pressione come chi scrive per lavoro. Dovrebbero uscire alcune cose scritte un paio di anni fa per una casa editrice di cui non rivelo il nome, ma ora come ora mi diletto solo a disegnare e continuare a promuovere “Provincia bastarda”! Lo so, potrei scrivere tipo il prequel su Testa di Chiodi, ma no, non è il mio stile: volevo dire qualcosa e l’ho detta, non sono uno che muore se non fa duemila battute al giorno…

Grazie per l’occasione! A presto e… stay metal!

Grazie